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Chi costruirà le strade?
L'ingerenza statale quasi mai è una buona cosa. Spesso impedisce perfino di sperimentare per migliorare il benessere della società. Qualche spunto dal libro Defending the Undefendable di Walter Block.
Insieme a TheOrangeWay (@Nespa_Bis), che mi ha ospitato nel suo Arancione Podcast, abbiamo ripercorso e discusso insieme di un interessante episodio del podcast di Saifedean “Who will build the roads”, in cui ha intervistato Walter Block.
In questo articolo ripercorro alcuni dei temi trattati insieme: prassiologia, scuola austriaca, socialismo stradale, differenza tra legalità e moralità e tanto altro. Per chi preferisce la versione podcast:
Chi è Walter Block
Walter Block è un economista austriaco e anarco-capitalista che insegna alla School Business di New Orleans. Come moltissime persone, anche lui da giovane era il tipico statalista “liberal” (cioè di sinistra).
Fu lui stesso ad affermare: "In the fifties and sixties, I was just another commie living in Brooklyn”. Il suo percorso di redenzione iniziò però nel migliore dei modi, assistendo a una lezione di Ayn Rand. Fu sufficiente una chiacchierata con lei e la lettura di Atlas Shrugged per rinnegare le sue radici socialiste. Fu poi grazie a Rothbard che si convertì definitivamente all’anarco-capitalismo.
Block è famoso per aver scritto il libro Defending the Undefendable in cui affronta e demolisce diversi dogmi statalisti da un punto di vista libertario. La sua intervista offre molti spunti interessanti su cui discutere, che volevo riproporvi anche in forma scritta.
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La prassiologia e l’azione umana
Il primo argomento toccato da Saifedean e Block è quello della scuola austriaca e della praxeology. Per praxeology o prassiologia s’intende quella teoria della scuola austriaca che sostiene che:
Esistono assiomi fondamentali (leggi economiche) che sono assolutamente veri
I teoremi dedotti sulla base di questi assiomi sono quindi assolutamente veri
Di conseguenza, non c’è alcun bisogno di testare né premesse né conclusioni
In ogni caso, questi teoremi non sarebbero testabili
L’assioma fondamentale della prassiologia è l’esistenza dell’azione umana, di cui Mises scrisse sapientemente. Gli esseri umani esistono ed agiscono. Da questo assioma fondamentale e assolutamente vero nasce e si sviluppa poi tutta la teoria economica austriaca. Alcune delle implicazioni più dirette che arrivano da questo assioma fondamentale sono: la relazione tra scopo e mezzo, le preferenze temporali (alte o basse), la legge del beneficio marginale decrescente, e così via. È l’assioma dell’azione umana che distingue la teoria economica austriaca da tutte le altre.
Rothbard definisce questo assioma come una “legge della realtà”, derivante proprio dall’osservazione della realtà che ci circonda.
Attenzione però: né Mises né libertari o austriaci dicono nulla sulle ragioni dell’azione umana. Non c’è alcun assioma in merito alla razionalità o correttezza dell’azione umana. L’unico postulato è che gli esseri umani agiscono: hanno uno scopo e usano ogni mezzo possibile per raggiungerlo.
Secondo Ayn Rand sono i “valori” ciò che spingono l’uomo ad agire. I valori sono ciò che un individuo agisce per ottenere e perseguire così la sua felicità. Potrebbe essere denaro, ma anche un altro tipo di beneficio psicologico. Un esempio calzante arriva proprio dal protagonista di The Fountainhead, l’architetto Howard Roark. In un passaggio del libro decide di rifiutare un’importante commessa che gli avrebbe fatto guadagnare una piccola fortuna, perché il progetto non era ciò che lui avrebbe voluto fare. Ad Howard Roark piacciono i soldi e gli sono utili, ma non è il denaro il “valore” che lo spinge ad agire. Bensì, la voglia di creare qualcosa di suo, senza ingerenze.
È anche per questo motivo che Rothbard disse che nella “scienza dell’azione umana” è impossibile testare le conclusioni che arrivano dalle leggi economiche fondamentali: i fatti che riguardano la vita e la storia umana sono talmente complessi e con cause diverse tra loro che è impossibile isolarli e testarli in laboratorio.
Il socialismo stradale
Block prosegue poi su quello che lui chiama socialismo stradale: il monopolio di Stato sulle strade. Lo fa partendo da una semplice osservazione: più di 35.000 persone muoiono ogni anno sulle strade in america.
Gli osservatori dicono che le cause sono molte e diverse: velocità elevata, errori del guidatore, guida in stato di ebrezza, eccetera. Nessuno osa però constatare una verità banale: quando un bene o servizio ha dei problemi, solitamente è colpa del management.
Facciamo l’esempio di un ristorante che fallisce. I motivi, superficialmente, possono essere molti: il cibo faceva schifo, il posto era sporco, la posizione non era ideale, e così via. Ma queste sono solo cause indirette. La causa primaria del fallimento è il proprietario, che non ha assunto uno chef migliore, non ha assicurato un’adeguata pulizia del locale, e non ha scelto con accortezza la posizione in cui aprire il ristorante. La causa ultima ricade sempre sul management.
Chi è il manager del servizio di mercato chiamato strada? Lo Stato. Ciò che è vero per il restante 99.9% dei beni e servizi di mercato deve necessariamente essere vero anche per le strade. Non è quindi assurdo dire che lo Stato è la principale causa delle morti sulle strade.
Il problema principale, derivante proprio dal monopolio assoluto dello stato, è che non possiamo sperimentare soluzioni diverse. Ad esempio, non possiamo differenziare le velocità in base al contesto specifico o sperimentare tipologie diverse di corsie. Non possiamo neanche sperimentare con diversi materiali e soluzioni di manutenzione.
Se ci fossero strade private con diversi proprietari potremmo verificare empiricamente le differenze sul numero di morti in base alle soluzioni proposte. Magari scopriremmo che la velocità non è sempre un fattore rilevante. O magari scopriremmo che in alcune strade, per il contesto specifico, è opportuno aumentare alcuni tipi di controlli o prevedere specifiche misure di sicurezza. Quello che invece abbiamo oggi è un monopolista che applica le stesse regole e le stesse tecnologie a condizioni estremamente diverse.
Lo abbiamo studiato tutti e non c’è nessuno che oserebbe negarlo: i monopoli sono sempre a danno dei clienti. La competizione libera crea sempre prodotti migliori proprio grazie alla trial & error e ai meccanismi premiali di mercato. Ciò che funziona viene usato e acquistato, ciò che non funziona muore. Lo vediamo con qualsiasi altra attività: servizi postali, sanità, scuola, sicurezza. In tutti questi casi la soluzione privata è più efficiente e meno costosa dell’alternativa statale.
A questo punto lo statalista dirà: ma se le strade fossero tutte private qualcuno potrebbe decidere di non farti più uscire di casa!
Certo, amico statalista.
Ma considera questo: un’attività imprenditoriale nasce per servire i clienti. È l’unico modo in cui l’imprenditore — che ha investito tempo e risorse per costruire e mantenere la strada — può guadagnare e rimanere sul mercato. Inoltre, è chiaro che in un mondo dove le strade sono tutte private l’acquisto di una casa si porterebbe dietro anche un contratto per l’utilizzo delle strade adiacenti. Se l’imprenditore decidesse di violare unilateralmente quel contratto, i clienti avrebbero mezzi per rivalersi. E in ogni caso, non passerebbe molto tempo prima che tutti i clienti a cui è stato vietato l’ingresso si trasferiscano altrove, andando a premiare il competitor. Il mercato tenderebbe naturalmente ad eliminare gli attori malevoli, perché nessuno li pagherebbe.
Le strade sono beni essenziali, sì. Come il cibo. Eppure mi sembra che il (semi)libero mercato alimentare funzioni bene. In 35 anni di vita devo ancora trovare qualcuno che si rifiuti di vendermi cibo per qualche motivo. E se anche fosse, il mondo è pieno di altri che non vedono l’ora di farlo. Perché per le strade dovrebbe essere diverso?
La confusione tra moralità e legalità
Passiamo ora ad un altro argomento amato dagli statalisti: vietare le attività che non gradiscono. L’errore gravissimo e imperdonabile di tutti gli statalisti, socialisti e comunisti in generale è di sovrapporre moralità e legalità fino a non distinguerli più.
Per lo statalista è assolutamente corretto vietare, quindi rendere illegale, ciò che reputa immorale. Nella storia, e ancora oggi, abbiamo innumerevoli esempi: divieto di vendita degli alcolici, di droga, di armi, o di organi umani; divieto di fumo; divieto di prostituzione o rapporti omosessuali; divieto di aborto; divieto dello sport e delle attività ludiche la domenica.
Tutte queste attività a un certo punto della nostra storia sono state vietate in quanto considerate immorali. Non è un caso che lo stato sociale, massima espressione dello statalismo, sia nato proprio da radici religiose (protestanti): da uomini che volevano usare lo Stato come strumento per epurare la società da vizi e azioni che ritenevano immorali. Per chi non l’avesse ancora fatto, consiglio di leggere questo articolo sul tema.
Eppure, moralità e legalità sono questioni ben distinte tra loro. La moralità — o etica — è ciò che guida l’azione dell’uomo e ci permette di distinguere tra giusto e sbagliato. Ma ciò che è giusto e sbagliato non può mai acquisire una dimensione collettivista e statalista. Sia Mises che Ayn Rand ci ricordano che ognuno di noi agisce con tutti i mezzi possibili per conseguire la propria felicità. I valori che ci permettono di conseguire la nostra felicità potrebbero però essere immorali per gli altri.
L'anarco-capitalista, al contrario degli statalisti, distingue invece tra moralità e legalità. La filosofia libertaria non è una teoria morale, ma una teoria legale. Questo è particolarmente vero se guardiamo alla filosofia di Rothbard e Hoppe. Tutto ciò che non viola la proprietà privata e la vita di una persona dovrebbe essere legale, pur se immorale.
Esempi palesi sono la prostituzione, l’omossessualità o le droghe. Molti pensano che sia immorale prostituirsi, avere rapporti omosessuali o vendere droga. Per questo, secondo loro, dovrebbero anche essere attività illegali. Ma da un punto di vista libertario non ha senso. Queste attività non violano in alcun modo il principio di non aggressione e dovrebbero pertanto essere libere.
In linea teorica, in un mondo libertario perfino i supermercati potrebbero scegliere di vendere eroina. L’eroina è una brutta storia, ma non per questo dovrebbe esserne vietata la vendita. E non sarebbe neanche un problema, poiché il mercato riuscirebbe ad equilibrarsi senza alcun bisogno di divieti. Nessun supermercato si sognerebbe di vendere eroina in una comunità che lo reputa generalmente immorale, per non rischiare di perdere clienti e fallire.
Purtroppo, quando agli statalisti non piace qualcosa e hanno un sufficiente numero di persone che la pensano come loro, allora credono sia giusto assumere qualcuno (le forze dell’ordine) per aggredire coloro che invece la pensano diversamente. Se vogliamo, è proprio questa scelta di aggredire con la forza qualcuno che agisce in modo pacifico per il raggiungimento della propria felicità ad essere immorale.
Attenzione al momento in cui qualcuno reputerà immorale inquinare, mangiare carne o proteggere le proprie comunicazioni e transazioni economiche attraverso protocolli di crittografia. Se ci pensate, è già un processo in atto.
Perché è accettabile proporre l’uso di sistemi di monitoraggio e analisi dell’impatto CO2 delle transazioni personali o di limitazione all’uso delle automobili? Perché inquinare è immorale.
Perché è accettabile proporre leggi di sorveglianza di massa delle transazioni economiche e per il divieto di strumenti di crittografia per la protezione della privacy delle comunicazioni e delle transazioni? Perché nascondersi dallo stato è immorale.
E così via.
Non tutto è un diritto
Infine, vorrei accennare a un’osservazione molto acuta di Block: bisogna distinguere tra la capacità di ferire le persone a livello emotivo o psicologico e violare i loro diritti (proprietà, vita, libertà).
Ad esempio, se chiedo a una bella ragazza di uscire e lei mi ride in faccia mandandomi via, potrei essere ferito emotivamente. Ma lei è libera di farlo. Ho il diritto di chiedere che sia vietato di rifiutare malamente le persone? Non credo.
O ancora, se nessuno chiede alla ragazza brutta della classe di andare al ballo della scuola, lei potrebbe rimanerci molto male e magari anche arrivare a deprimersi e suicidarsi. Qualcuno dovrebbe essere obbligato legalmente a chiederle di ballare? Non credo.
E questo è molto importante, perché oggi si fa una gran confusione tra azioni che possono avere un impatto negativo sulla persona, senza però violare il principio di non aggressione, e azioni che invece lo violano. Un pugno in faccia non è allo stesso livello di un brutto insulto.
Oggi invece vediamo sempre più spesso la nascita di leggi che vorrebbero tutelare la salute emotiva delle persone contro il cosiddetto "hate speech". Il Digital Services Act in UE è un esempio: c'è un paragrafo specifico in cui si afferma che i social network dovrebbero censurare ogni contenuto che possa ferire o mettere a repentaglio la salute mentale di qualcuno.
Questa è la follia dello statalista woke, che giustifica la violazione di libertà altrui per evitare che qualcuno lo ferisca dicendogli che solo le donne possono partorire o che le tasse sono un furto.
Chi costruirà le strade?
Molto interessante l'articolo e condivido la maggior parte di quanto scritto, resto perplesso solo su 2 cose:
1. che la sanità privata sia compresa tra le attività considerate più efficienti e meno costose rispetto l'alternativa statale. Più efficiente lo posso accettare, meno costosa.....anche no. Potrei arrivarci ampliando il ragionamento, ad esempio mi costa di più attendere 3 mesi una visita dallo specialista in ospedale pubblico ed altri 6 mesi l'attesa per un'operazione portandomi il dolore/disagio fisico ma a costo zero rispetto ad una visita immediata privata ed un'operazione (non di certo immediata) ma con minori tempi di attesa ed a costi medio/alti. Ecco forse il concetto ci starebbe....anche se un pò forzato, sempre che l'autore non mi spieghi la sua interpretazione del concetto
2. sul discorso strade, quando si spiega che in caso di inefficiente gestione privata "non passerebbe tanto tempo prima che tutti i clienti a cui è stato vietato l'ingresso si trasferiscano altrove". Anche qui forse l'esempio è forzato, se il privato non ne curasse la manutenzione, voglio vedere quanto possa essere così semplice trasferirsi altrove, stiamo parlando dell'abitazione, non di un bene di consumo che si può sostituire facilmente. Per quanto una casa non sia da considerarsi per sempre, ritengo sia comunque una scelta di vita molto impattante che non si possa rivalutare con tanta semplicità come potrebbe far pensare l'esempio. Preferisco pensare che il privato proprietario, per mero interesse economico, manterrebbe una costante ed efficiente gestione.