

Scopra di più da Privacy Chronicles
Twitter Files: depistaggi politici e psy-ops
Continua il viaggio nei Twitter Files diffusi da Elon Musk. Il ruolo dell'FBI nella censura e depistaggio della storia di Hunter Biden e le psy-ops del Pentagono.
In queste settimane numerosi giornalisti sono alle prese con documenti e comunicazioni riservate di Twitter diffusi da Elon Musk. Li chiamano “Twitter Files”.
I primi cinque Twitter Files hanno rivelato i meccanismi interni alla moderazione di Twitter, tra manager politicizzati con deliri di onnipotenza e interferenze da parte dell’intelligence. Oggi scaveremo ancora un po’ nella tana del bianconiglio, per portare allo scoperto le attività di censura, manipolazione e propaganda politica da parte dell’FBI e del Pentagono — con la collaborazione di Twitter.
Se non sai di cosa sto parlando ti consiglio di leggere prima qui:
Il laptop di Hunter Biden
Il 14 ottobre 2020 il New York Post pubblicò una storia riguardante i contenuti di un laptop appartenente a Hunter Biden, figlio di Joe Biden, dal quale furono recuperate alcune e-mail che dimostravano alcuni possibili episodi di collusione tra Joe Biden (che all’epoca era vice-presidente) e il governo Ucraino. I contenuti della memoria dell’hard drive mostravano però anche altro, come Hunter Biden che fumava crack e possibili connessioni con strani giri di prostituzione e una serie di informazioni molto scomode per Joe Biden, che in quel periodo era in piena campagna elettorale.
La storia fu immediatamente soppressa dal team di Twitter in ogni modo, dietro la scusa della policy contro la diffusione di “materiale hackerato”. Diverse persone in quel periodo furono bloccate anche solo per averne parlato, come Kaleigh McEnany, referente della Casa Bianca.
Vijaya Gadde, capo del “Legal, Policy & Trust“ e Yoel Roth, capo Trust & Safety, ebbero un ruolo primario nel continuare la strada della censura e — almeno inizialmente — senza che Jack Dorsey (ex CEO) lo sapesse.
La storia diventò un caso politico sul rispetto del Primo Emendamento. I Dem non persero occasione per impostare una paradossale campagna mediatica in cui chiedevano a Twitter di intervenire ancora più duramente con la censura, affermando che il Primo Emendamento non era assoluto (ovviamente) e che i social media avrebbero dovuto fare tutto ciò in loro potere per evitare che i conservatori diffondessero disinformazione.
Perché Twitter decise di censurare una notizia del genere considerando che non c’era motivo di ritenere che fosse materiale derivante da attività criminale? E come facevano ad essere così preparati, reattivi e determinati nel censurare queste notizie?
Le risposte a queste domande arrivano ripercorrendo gli eventi che precedono la pubblicazione, con particolare attenzione al ruolo dell’FBI.
Prima di continuare…
Aiutarmi a sostenere il programma editoriale 2023 per Privacy Chronicles!
La storia, come racconta Michael Shellenberger, inizia a dicembre 2019 — quando il proprietario di un negozio di riparazione di computer del Delaware (J.P. Mac Isaac) comunicò all’agenzia federale di avere ricevuto un laptop di proprietà di Hunter Biden. Nel laptop, a suo dire, c’erano delle informazioni che potevano dimostrare la commissione di alcuni reati. Dopo alcuni giorni Mac Isaac venne chiamato a comparire per consegnare il laptop nelle mani dell’FBI.
C’era però qualcosa che non andava. I mesi passavano e non accadeva nulla. Così Mac Isaac decise ad agosto 2020 di inviare una email a Rudy Giuliani (politico repubblicano ed ex sindaco di New York) per spiegare tutta la faccenda e informarlo dei suoi sospetti sul contenuto del laptop.
Tenete presente che a novembre 2020 si sarebbero tenute le elezioni presidenziali. Una storia che raccontava di possibili reati legati a Joe Biden sarebbe stata una pistola fumante per i repubblicani contro la sua campagna elettorale. Fu probabilmente per questo che Rudy Giuliani decise di spifferare tutto al New York Post, che decise di pubblicare la storia il 14 ottobre 2020.
Come sappiamo, Twitter era già preparato a reagire e in poche ore venne avviata una penetrante opera di censura, giustificata con la scusa della diffusione di possibile materiale “hackerato”.
Twitter, succursale dell’FBI
I Twitter Files mostrano che già dai primi mesi del 2020, dopo aver preso possesso del laptop, l’FBI avviò una serie di incontri con Twitter per discutere del rischio di possibili campagne di “hack and dump” che avrebbero potuto essere realizzate dai russi a ridosso delle elezioni.
In realtà, come racconta Michael Shellenberger e come affermato anche da Twitter in vari comunicati, nel 2020 ci furono ben poche attività legate ad “interferenze russe”.
Nonostante tutto, l’FBI continuò per tutto l’anno con un’opera di persuasione sui rischi di un possibile “hack and dump”.
Ad esempio, ad agosto 2020 l’FBI contattò Twitter, attraverso Yoel Roth, condividendo alcuni documenti riservati che indicavano il rischio di possibili future attività di “hack and dump” da parte del collettivo hacker russo APT28.
O ancora, il mese successivo lo stesso Yoel Roth partecipò a un’esercitazione organizzata dall’Aspen Institute su un possibile scenario di “hack and dump” riguardante proprio Hunter Biden e Joe Biden.
Sempre in quel periodo, a settembre 2020 — un mese prima dello scoop del New York Post — Yoel Roth e Elvis Chan (agente FBI) crearono un network cifrato per le comunicazioni tra Twitter e l’FBI e una “virtual war room” — come se fossero in preparazione per una vera emergenza.
E in effetti erano ben preparati. L’opera di persuasione e “sensibilizzazione” dell’FBI sul rischio di diffusione di notizie riguadanti Biden da parte dei “russi” fu molto efficace.
Il 14 ottobre Roth aveva pochi dubbi su come agire, nonostante non ci fosse alcuna palese violazione delle politiche interne: “it isn’t clearly violative of our Hacked Materials Policy, nor is it clearly in violation of anything else, but this feels a lot like a somewhat subtle leak operation”.
Le seguenti comunicazioni interne confermano che i team di moderazione facevano fatica a comprendere il motivo della censura, ma Yoel Roth spinse per continuare l’attività per “essere sicuri”. Vale la pena notare anche l’input di Jim Baker — ex general counsel dell’FBI e poi general counsel di Twitter (licenziato da Musk recentemente).
Le pressioni e le influenze dell’FBI avevano colpito nel segno e raggiunto il loro obiettivo. Forse, anche grazie ai numerosi ex-agenti e consulenti dell’intelligence che in quel periodo lavoravano proprio dentro Twitter. Come ad esempio Dawn Burton, ex capo dello staff del Direttore dell’FBI James Comey (2013-2017) e assunto da Twitter nel 2019 come “Director of Strategy”.
O forse, grazie ai $3.4 milioni di dollari che l’FBI ha pagato a Twitter per i suoi servizi da fine 2019 a inizio 2021.
Il depistaggio politico dell’FBI
A questo punto vale la pena ripercorrere brevemente i fatti, per capire meglio la gravità di questi eventi:
L’FBI prese possesso del laptop di Hunter Biden già nel 2019 — un anno prima che uscisse la storia sul NY Post
L’FBI conosceva i contenuti del laptop e sapeva che Rudy Giuliani aveva passato le informazioni al NY Post, poiché era sotto sorveglianza
L’FBI sapeva che il contenuto del laptop era reale e che non aveva nulla a che fare con propaganda e o hacker russi, ma nonostante questo spinsero Twitter a censurare i contenuti sotto il falso pretesto dell’influenza russa nelle elezioni
L’FBI pagò Twitter più di 3 milioni di dollari da fine 2019 a inizio 2021
Nel 2020 Hunter Biden era oggetto di indagini da parte dei senatori repubblicani Grassley e Johnson
Insomma, è molto probabile che, come affermato anche da Michael Shellenberger, l’attività dell’FBI fosse un vero e proprio depistaggio politico — una campagna di disinformazione per screditare politicamente i contenuti del laptop di Hunter Biden, che sarebbero usciti, e che avevano il potere di affossare Joe Biden durante le elezioni.
A tutti gli effetti, l’FBI potrebbe aver agito come strumento di censura e disinformazione politica con l’aiuto (a caro prezzo) di Twitter — proprio quelle cose da cui i legislatori di tutto il mondo cercano di proteggerci, togliendoci libertà di parola.
Michael Shellenberger scriveva due giorni fa: “At this point, members of Congress should be extremely concerned that FBI is engaged in a cover-up. There needs to be an aggressive investigation of the apparent politicization of the FBI by Congress, and perhaps even a Special Counsel in the DoJ to investigate what happened”.
L’FBI non ha mancato di rispondere alle accuse, con un eccellente esempio di gaslighting in cui ci accusa di essere dei poveri complottisti:
I Twitter Files finora hanno scoperto un vasto network composto da diverse agenzie governative come FBI, DHS e perfino il DOD che usavano la piattaforma come uno strumento di sorveglianza e censura politica (pesantemente a favore dei Dem).
Una risposta del genere, oltre ad essere estremamente arrogante, dimostra anche cosa pensano di noi governi e agenzie governative: delle pecore addomesticate senza alcuna capacità di pensiero razionale che possono essere facilmente manipolate.
Twitter, arma per le psy-ops militari
Se la censura e disinformazione politica dell’FBI non vi basta, continuiamo con il Twitter Files numero 8, di Lee Fang (20 dicembre).
Il thread di Lee approfondisce il ruolo e l’acquiescienza di Twitter nelle “psy-op” (operazioni per influenzare psicologicamente l’opinione delle masse) portate avanti dal Pentagono. Per anni Twitter ha dichiarato di combattere le campagne di propaganda di stato sulla piattaforma, salvo scoprire che erano loro stessi a supportarle.
Le prime avvisaglie di questa particolare partnership arrivano nel 2017, quando il CENTCOM (Comando combattente unificato delle forze armate degli Stati Uniti) inviò a Twitter una lista di 52 account di lingua araba che sarebbero stati usati per “amplificare certi messaggi”.
Gli ufficiali chiesero a Twitter di verificare gli account fake (spunta blu) e di “whitelistarli”.
Il “whitelisting”, da quello che ho capito, è sostanzialmente uno shadowban al contrario: gli account whitelisted sono immuni da attività di moderazione (immagino anche automatizzata) e hanno più visibilità degli accout normali. Gli account whitelisted furono usati, pare, per generare news e meme capaci di influenzare l’opinione pubblica in Yemen, Syria, Iraq, Kuwait e molti altri paesi.
Molti di questi account furono usati per promuovere la guerra in Yemen — una guerra che ha portato alla morte di migliaia di civili e distrutto la vita a milioni di persone.
Ad esempio, uno di questi era l’account @yemencurrent, che veniva usato per diffondere notizie sugli attacchi droni da parte degli Stati Uniti, enfatizzando la precisione degli attacchi aerei, capaci di risparmiare i civili e ammazzare soltanto “terroristi” con grande accuratezza.
Diverse comunicazioni interne mostrano che i manager di alto livello di Twitter sapevano dell’esistenza di questo vasto network di account fake usati per operazioni di manipolazione e propaganda dal Department of Defense, ma scelsero di chiudere un occhio — evitando così di sospenderli. Alcuni di questi account erano ancora attivi fino a pochi mesi fa.
A queste evidenti attività di psy-ops mirate devono aggiungersi le attività di coordinamento tra agenzie governative e Twitter per censurare e manipolare l’informazione sulla piattaforma. Come già accennato nei primi Twitter Files le agenzie avevano incontri periodici con i team interni di Twitter:
Particolarmente interessante il punto “OGA Briefing” sulle campagne social in merito all’Ucraina, dove per OGA si intende Other Government Agency — probabilmente CIA (come si evince da altri documenti).
Per un approfondimento consiglio il recente thread di Matt Taibbi.
Noi e loro
Mentre i nostri governi ci avvertivano dei pericoli della propaganda russa e cinese; mentre censuravano fonti d’informazione con la scusa della guerra e del covid; mentre promuovevano leggi liberticide contro la “disinformazione” come il Digital Services Act… mentre facevano tutto questo per noi — loro facevano l’esatto opposto: disinformazione, censura politica e propaganda per manipolare l’opinione pubblica.
La speranza è che i Twitter Files possano essere uno spunto per riflettere sugli enormi pericoli che arrivano proprio dalla manipolazione psicologica violenta e subdola dei nostri governi, sempre più “grandi” e sempre più lontani dallo scrutinio dei cittadini. Com’è possibile che un’agenzia come l’FBI possa essere usata così spudoratamente per fini politici? In quali altre occasioni è accaduta la stessa cosa?
Ancora una volta i fatti dimostrano che la “lotta alla disinformazione” non è altro che una lotta per il controllo dell’informazione e per la manipolazione delle masse. D’altronde, è così che i governi di tutto il mondo riescono a sopravvivere.